Iraq.
Cominciamo dal cercarlo su una mappa. L’Iraq è un paese dell’Asia occidentale, la sua capitale è Baghdad. L’Iraq ha due fiumi principali, il Tigri e l’Eufrate, e per questo motivo la terra è conosciuta come Mesopotamia. Questa è la terra dove è nata la prima civiltà, è stato creato il primo alfabeto, è stata inventata la prima ruota ed è stata scritta la prima costituzione. L’Iraq, o meglio Uruk, è il luogo in cui l’umanità ha iniziato a vivere in città organizzate con una qualche forma di governo. Ma tutto questo è avvenuto prima dell’evento clou della nostra storia, ovvero l’11 marzo 1995. Quel giorno Zahra ha dato alla luce il suo settimo figlio: io.
Perché questa è la mia storia. O… Storia, con la S maiuscola.
Quando sono nato, l’Iraq era sotto le sanzioni delle Nazioni Unite perché nel 1990 il governo iracheno guidato da Saddam Hussein invase il Kuwait. A causa di questa invasione e delle sanzioni imposte all’Iraq, sono nato in un periodo in cui la popolazione irachena soffriva di fame e povertà.
Qualche anno dopo la mia nascita, la mia famiglia si trasferì da Baghdad in un’altra regione, nel governatorato di Dyale. Ci trasferimmo dalla città alla campagna e andammo a vivere in una fattoria di proprietà della mia famiglia.
Nel 2001 ho iniziato il mio primo anno di scuola all’età di 6 anni. Ogni mattina dovevamo stare nel cortile della scuola. Ogni classe era schierata in fila indiana e l’insegnante controllava i nostri capelli, le unghie, il modo in cui eravamo vestiti e se eravamo puliti, prima che potessimo entrare in classe. Se non lo fossimo stati, ci avrebbero portato davanti a tutti e ci avrebbero dato uno schiaffo sulle mani. Sembrava di stare nell’esercito. Ogni giovedì mattina dovevamo andare nel cortile per onorare la bandiera. Tutti gli studenti iniziavano a cantare l’inno iracheno, e ogni classe aveva un delegato, chiamato “idolo”, che marciava verso la bandiera, la baciava e iniziava a sollevarla in aria mentre cantava l’inno.
In seconda elementare ero “l’idolo” della classe e in terza fui scelto nuovamente come idolo. Avevo 8 anni e ricordo molto bene di essere stato scelto e nominato idolo, vincendo un’elezione molto corretta contro l’altro miglior studente della classe. Si trattava di una sorta di propaganda che il regime utilizzava per mostrare alla gente che praticava la democrazia anche in una piccola scala della società, anche su scala nazionale: si stavano conducendo elezioni e Saddam vinceva con il 99% dei voti.
Ma non è l’unica cosa che ricordo molto bene di quell’anno. Ricordo anche tutti i miei parenti che lasciarono Baghdad e vennero a vivere nella nostra fattoria. Era il 2003 e l’Iraq era stato invaso dagli Stati Uniti, quindi i nostri parenti stavano scappando dalla città alla ricerca di un rifugio più sicuro in campagna.
Ricordo che la gente era felice di liberarsi finalmente del regime. E lo ero anch’io, perché sentivo sempre storie su Saddam dalla mia famiglia e ricordo che mi veniva detto di non ripetere queste cose a scuola, di non far sapere alla gente che non sostenevamo il presidente. Ricordo di aver aperto libri e di aver scarabocchiato sull’immagine di Saddam, ma sempre nel timore che gli insegnanti o i compagni di classe potessero vederla.
Quindi sì, ero felice che ci stessimo sbarazzando del regime, ma ero particolarmente felice che le scuole fossero chiuse a causa della guerra e che trascorressimo tanti mesi a casa. Come ogni bambino, ero felice di avere tanti bambini nella fattoria. Ricordo che giocavo tutto il giorno, ma correvo dentro non appena vedevamo un aereo o delle truppe americane.
In meno di un anno caddero le varie resistenze, le truppe americane presero il controllo dell’intero territorio e annunciarono la cattura di Saddam Hussein. Seguirono due anni durante i quali non si tennero elezioni e l’Iraq fu governato da un governo di transizione. Nel 2005 gli iracheni furono chiamati a votare ed eleggere i propri rappresentanti, ma la fiamma di una guerra civile già iniziata alla fine esplose. Il conflitto era principalmente tra due gruppi di musulmani: sunniti e sciiti. In Iraq i musulmani costituiscono il 95% della popolazione e il 5% appartiene ad altre religioni o gruppi. Etnicamente parlando gli arabi costituiscono la maggioranza (75-80%), ma ci sono molti altri gruppi etnici: curdi, turkmeni, assiri, armeni, yazidi, sabiani-mandei, persiani, rom (che vengono chiamati kawliyah) e shabaki.
Torniamo alla guerra civile. Fino a quel momento molte città irachene erano composte da sunniti e sciiti, così come Dyala, sebbene avesse una maggioranza sunnita. Ma nel 2006, quando è esplosa la guerra civile, noi, come famiglia sciita trasferitasi da Baghdad a Dyala, siamo diventati un bersaglio degli estremisti sunniti. A quel tempo Al-Qaeda stava avanzando e guadagnando seguaci tra i villaggi a maggioranza sunnita. Ricordo che abbiamo iniziato a non sentirci al sicuro nel 2005. Potevamo vedere degli estranei, ma lo shock principale era il sostegno che Al-Qaeda era in grado di raccogliere tra gli abitanti dei villaggi e ogni giorno il tuo vicino di lunga data poteva diventare tuo nemico. E così mio padre e i fratelli maggiori facevano la ronda di notte per sorvegliare la casa.
Fino a giugno 2006. Come ogni altro giorno, mio padre e mio fratello Ali partivano la mattina per vendere i prodotti della nostra azienda agricola. Pochi metri prima di uscire dal cancello della fattoria, mio padre notò qualcosa di strano, una linea scavata nel terreno. Scese dall’auto per controllare e, con suo grande shock, scoprì un’enorme mina anticarro che era stata piantata e pronta a esplodere. Se avesse guidato l’auto sul cavo, sarebbe esplosa. Tornò a casa e chiamò la polizia: dissero che non potevano venire oggi e che dovevamo affrontare la cosa da soli. Suggerirono di sparare alla mina con un fucile per farla esplodere.
Fortunatamente mio padre aveva una certa esperienza con le armi poiché era un veterano di guerra. Quando lo sentimmo parlare con la polizia, noi ragazzi provammo tanta paura. Avevo 11 anni e pensavo che se fosse esplosa la mina ci sarebbe caduta la casa in testa. Il villaggio apprese la notizia, tante persone vennero a casa nostra per confortarci e rassicurarci.
Il giorno dopo abbiamo iniziato l’evacuazione dalla nostra casa. La cosa che mi ha reso più triste quel giorno è stato lasciare indietro Rocky, il nostro cane. Non potevamo prenderlo perché saremmo stati ospitati da parenti che non avevano spazio per un cane. Come noi, molte altre famiglie stavano affrontando la stessa sorte. Solo tre giorni dopo la nostra partenza, gruppi armati di Al-Qaeda arrivarono al villaggio e uccisero coloro che si rifiutavano di lasciare le loro case. A quelli che se ne andavano, non lasciavano prendere nessun bene. Il padre di uno dei miei amici delle elementari è stato massacrato e altri sono stati uccisi.
Era solo l’inizio ovviamente. Ci sono stati tanti altri viaggi, avvenimenti e decisioni che mi hanno portato dove sono ora, ma mi fermo qui.
Un paio di anni fa, pensando ai ricordi della mia infanzia, scrissi questa poesia sulla pace: ve la condivido.
Umanità persa
E’ giovedì: mi sveglia, degli aerei, il ronzio e il fragore.
Ieri giocavo, bambino, non capivo il senso di tanto rumore.
Mio padre si agitava, mia madre singhiozzava,
a me, invece, solo del mio gioco m’importava.
Chiesi di uscire: Mamma ti prego, fammi andare fuori.
Urlando, mia madre disse: Ma non li senti questi rumori?!
Sono aerei che lanciano bombe, portando morte e dolore.
Io non capivo: quei fragori non eran segni di un domani migliore?
L’indomani, eccomi lì, nei sotterranei mi nascondevo.
Altri bambini come me, in lacrime vedevo,
non capivano, non capivamo,
i nostri giochi reclamavamo.
E all’altro capo del mondo, in posti lontani
Bambini come me, sentivano i suoni del domani,
mentre gli aerei si preparavano a bombardare.
Io solo chiedevo di poter giocare.
Di nient’altro ero capace,
Era quello il mio peccato: che amavo la pace.
E ora, dall’alto, vedo un bambino affogare
e un altro nel fuoco bruciare.
Dall’Occidente all’Oriente, e oltre ogni frontiera
Si innalza dal mio cuore per la pace una preghiera.
Hussein Al-Lami