Silvia e Giuseppe parlano di Casa Betania

Un sogno chiamato Betania

Silvia e Giuseppe parlano di Casa Betania

Dal 1993, anno di apertura di Casa Betania, nel corso di questi anni di vita sono passate nella nostra casa tanti bambini e tante donne sole.
Generalmente quando si parla con gli operatori dei servizi sociali sentiamo parlare di “minori non accompagnati” o di “ragazze madri” e così anche in altri contesti. Queste espressioni non ci sono mai sembrate adeguate: abbiamo l’impressione che così esprimendoci possiamo perdere di vista l’identità della persona per farne una categoria.
Abbiamo provato una grande gioia quando tempo fa abbiamo preso un foglio ed abbiamo cominciato a segnare il nome di tutti i bambini e tutte le mamme che erano passate nella nostra casa: alcuni si sono fermati pochi giorni, altri alcuni mesi, altri ancora più di un anno, ma tutti hanno vissuto con noi, abbiamo condiviso la storia, mangiato alla stessa tavola, dormito nella stessa casa: abbiamo condiviso un pezzetto di strada.


A mano a mano che i nomi venivano scritti cercavamo di cogliere un pensiero, una parola che fosse espressione di quel legame, una parola che potesse esprimere il segno che aveva lasciato nel nostro cuore.
Una riflessione viene spontanea: la PAROLA del Signore giunge a noi, anche attraverso la VOCE di altri fratelli, di chi soffre, di chi è solo, di chi non è amato.
Alcuni bambini e alcune mamme con le loro fatica, le loro conquiste, in parte condivise nella casa, hanno reso più ricche le nostre persone.

Pensando alle donne accolte ……..

Abbiamo conosciuto cos’è la fortezza, cosa vuol dire avere voglia di vivere, cosa significa sentirsi ed essere fragili.
La caparbietà, la mitezza, la sfida, l’orgoglio, la dignità, l’appartenere alla propria terra.
L’avere un figlio senza aver mai provato la gioia di essere figlia.
L’avere fede, pensarla forte e sentirsi fragile.
Sapere di avere una strada in salita e decidere di percorrerla.
Scoprire di avere dentro di sé una grande speranza.
Altre mamme ci hanno aiutato a capire il limite del nostro intervento: la realtà della nostra casa è cosa piccola, non si può arrivare sempre dove vorremmo…
Non è sempre possibile capire. Si può vivere nella stessa casa e non sapere nulla dello stato d’animo di quella persona.
A volte sotto le apparenze si nascondono delle cose molto belle e importanti.
Le ferite, i segni delle grandi sofferenze si rimarginano con fatica e difficilmente scompaiono.
E’ difficile fidarsi di chi non si conosce, la paura è tanta. Stiamo male pensando che quella persona, di cui l’altro non si fida, siamo noi.
Di fronte ad alcune storie, ad alcune mamme l’unico atteggiamento possibile è il silenzio.
E’ necessario fare silenzio quando la persona fa fatica ad uscire dal suo guscio.
Una mamma nonostante il numero delle porte che ha trovato chiuse ha continuato a bussare per trovare un posto per sé e per suo figlio.
A volte la loro cultura si esprime nella povertà di valori.
Sentirsi soli in una terra che non è la tua con una nostalgia struggente.
I pesi che porti sulle spalle sono tutt’uno con la tua persona, non possono essere staccati e portati con altri, non li puoi appoggiare in terra e riprendere fiato.

Ed ancora abbiamo conosciuto di noi degli aspetti che non conoscevamo…

la nostra intolleranza, il nostro fastidio..
di fronte all’opportunismo, alla non sincerità, alla gelosia, al fatto che alcune persone ti sono passate accanto ma tu non hai saputo fermare realmente il tuo sguardo su di loro….
di fronte all’incapacità di qualcuno di fare scelte coraggiose…
di fronte alla confusione…
quando atteggiamenti adolescenziali prendono il sopravvento sulla maturità dell’adulto.
Ecco allora che il senso di questi incontri sta nella nostra capacità di lasciarci convertire; la scoperta delle nostre povertà ci consente di entrare in dialogo, in un rapporto che è di tipo paritario.
La Voce dell’altro che soffre ci porta la Parola che sola ci può rivelare la nostra povertà, la pochezza delle nostre persone e la necessità di essere salvati.

I bambini, le persone, le mamme che sono passate per Casa Betania, nella unicità delle loro storie, avevano due aspetti che le accomunavano: la solitudine e la paura.
La solitudine di queste persone è reale: questa sera non so dove andare a dormire.
Non sarebbe male se ognuno riflettesse “se questa sera per un motivo o per l’altro mi ritrovassi a non sapere dove andare a dormire saprei a quale porta bussare?”
Noi pensiamo che ognuno avrebbe una persona amica a cui chiedere “posso dormire nella tua casa per questa sera?”
Certamente, almeno per qualche sera, troverebbe ospitalità.
Ma se noi scoprissimo di non sapere a chi bussare, per la vergogna, per il timore di essere giudicati, per il timore di avere una risposta negativa… potremmo toccare con mano che cosa significa sentirsi soli e forse la paura si farebbe spazio anche dentro di noi.
E se tutto questo si verificasse in un Paese che non è il nostro?
E se a questa solitudine ed a questa paura volessimo aggiungere anche il fatto che aspetto un bambino?
La solitudine della mia persona, il non essere accolta da nessuno nel momento in cui la vita che è in me chiede di essere accolta.
L’amore, l’affetto, l’accoglienza che offro a mio figlio devo poterla esprimere anche verso altri perché diversamente questo amore potrebbe non essere “sano”, perché esclusivo, perché l’amore ed il non-amore non possono abitare insieme.

L’entrare in Casa Betania può significare allora trovare accoglienza, trovare una famiglia che, seppur non è la mia che ho lasciato lontano, può condividere con me queste difficoltà, può consentire a mio figlio di nascere non “in solitudine” ma circondato da un’attesa che poi sfocerà nella gioia della vita. Potrà significare non avere più paura, sentire rinascere in me la speranza.
Quanta responsabilità in questa accoglienza… quante possibilità…
E’ il Signore che bussa alla nostra porta.
Nella nostra vita di sposati siamo stati chiamati a vivere la dimensione sponsale nella fedeltà, nell’unità, nella fecondità fino alla fine dei nostri giorni.

I figli che il Signore ci ha donato, e sono quattro, li abbiamo custoditi ed ognuno sta vivendo il suo cammino nella fatica, nella gioia, nella scoperta della vita.
Ma gli altri, tutti quelli che abbiamo incontrato e che incontreremo come entrano nella nostra vita?
Sono anch’essi figli che il Signore ci ha affidato e di cui dobbiamo rendere conto.
Il dono dell’incontro. Gli altri possono passarci a fianco e noi possiamo anche non vederli se il nostro sguardo è perso nel vuoto o se guardiamo in terra o se pensiamo ai nostri problemi…
Nella storia di Betania abbiamo fatto un pezzo di strada con molte persone, bimbi piccoli, molto piccoli, una bimba aveva solo 3gg. di vita; con mamme che sono rimaste alcune pochi giorni, altre alcuni mesi, altre ancora un anno o poco più.
Questo fare un pezzetto di strada insieme è un dono grande.
La piccola che è rimasta parecchi mesi nella Casa forse non saprà mai di essere stata accolta da noi, la mamma che è ormai rientrata nel suo Paese forse offuscherà il ricordo del tempo trascorso con noi perché la riporterà a momenti di grande sofferenza… e allora?
Per noi come coppia, come famiglia cosa ha significato questo passaggio?
E’ la trama della vita. Nel telaio la spola va e torna e così si costruisce il tessuto.
Noi siamo impastati delle storie che sono passate e che passano nella nostra storia.

Silvia e Giuseppe

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