Caro Giuseppe,
il 30 aprile è passato un anno che ci hai lasciato. È stato un anno duro, sia sul piano personale che collettivo e, forse per questo, mi sei mancato di più.

Era bello, quando ci vedevamo, ascoltare le tue parole rasserenanti, vedere i tuoi occhi così espressivi: “parlanti”, specialmente negli ultimi tempi quando le parole non ti venivano con facilità. Anche nei momenti più difficili, la tua presenza invitava alla calma, al ragionamento.
Ci rassicurava che una soluzione si trova sempre e che Dio non ci abbandona.
In questi tempi così cattivi, mi manca la tua mitezza. Si, più di tutto mi manca il tuo modo calmo di affrontare i problemi, sempre in un’ottica di fede.
La mitezza è una delle beatitudini che più mi interroga, perché essere miti non significa “lasciar fare”, ma anzi è un atteggiamento che richiede determinatezza.
Simone Weil diceva che la scelta della mitezza è frutto più di intuizione che di ragionamento, più di decisione che di deduzione, per cui la mitezza si impara alla scuola dei miti e non sui libri.
Sei stato un buon insegnante, ma avremmo ancora bisogno di qualche tua lezione. È scritto che i miti erediteranno la terra. Non è, io credo, una promessa di eredità. Penso che essere miti sia il solo modo per salvarla questa terra. È l’atteggiamento da tenere per potercela conservare.

Caro Giuseppe: di’ per favore al Padre Celeste che non si arrabbi per il paragone un po’ blasfemo. Voglio dirti che nessun seme di quelli che hai sparso è caduto sulla strada o sulla roccia, ma tutti sulla terra buona e continuano a dare molto frutto; che nessuna delle pecorelle che ti sono state affidate si è persa e continuano a camminare sulla strada che tu ci hai indicato.
Ma soprattutto, voglio dirti che a Casa Betania ci sforziamo di ripetere, ogni giorno il miracolo dei pani e dei pesci. Perché ci hai fatto capire che il vero miracolo non è la moltiplicazione, ma la con-divisione.

Ciao …
Carlo Stella

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